Il numero 153 della rivista palermitana Mezzocielo   http://www.mezzocielo.it  presenta un dossier contro la guerra dove molti sono gli interventi. Vi proponiamo quelli di Simona Mafai, di Daniela Dioguardi e di Wislawa Szymborska. 

I ritratti di Simona Mafai e Daniela Dioguardi sono tratto dal libro di  Francesco Francaviglia Le donne del digiuno  curato da Marco Delogu e pubblicato da Postcart nel 2014

Simona Mafai
Simona Mafai

Simona Mafai   –   Che la coscienza umana contrapponga da millenni le donne alla guerra, lo testimonia la famosa commedia di Aristofane (411 a C.), in cui la protagonista, Lisistrata (letteralmente: “colei che scioglie gli eserciti”), promuove con altre donne lo “sciopero del sesso” per convincere gli uomini a porre termine alla guerra tra Atene e Sparta.  Ma avvicinandoci ai nostri tempi (e sfuggendo al fascino della lettera- tura) ricordiamo, e con lettere d’oro!, il Congresso internazionale delle Donne per la Pace, tenuto nel 1915 a L’Aja, all’inizio della prima guerra mondiale. Erano presenti 1.136 donne, molte di paesi tra loro belligeranti; vi era una sola italiana, la modista Rosa Genoni che fu chiamata alla Presidenza e fece parte della delegazione che successivamente cercò di interloquire con i vari Capi di stato. L’iniziativa era partita, nel gennaio dello stesso anno, dal Woman’s Peace Party (Usa), per esprimere a livello mondiale la “rivolta delle donne contro le crudeltà e la deva- stazione della guerra, causate da uomini in posizioni di potere”. Da allora ad oggi molte idee, conflitti (e cadaveri!), sono passati sotto i ponti, e non possiamo che affrontare il tema con meno innocenza. Ricordiamo le azioni per la pace condotte da donne dopo la seconda guerra mondiale: la loro partecipazione alla raccolta di milioni di firme per la messa al bando delle bombe atomiche; i sit-in delle “donne in nero” , in solidarietà con le donne israeliane e palestinesi che si incontravano ogni settimana in piazza a Gerusalemme, per chiedere insieme la pace; i gruppi femminili che da varie parti d’Italia si recarono nella ex-Jugoslavia in aiuto e solidarietà con le donne stuprate. Ed altro ancora. Oggi una mobilitazione contro le guerre non si crea, anche se orrori e minacce non mancano. Gli avvenimenti si svolgono in modo nuovo. Le guerre non sono dichiarate ufficialmente, ma esplodono in modo anonimo e si frazionano in un pulviscolo di guerre civili; il terrorismo colpisce improvvisamente semplici luoghi d’incontro della convivenza umana. È cambiata anche la valutazione delle donne: che molti teorici/teoriche tendono a sfumare nei loro caratteri propri, partendo dall’affermazione che non c’è “la Donna”, ma ci sono “le donne”, con le loro differenziazioni multiple anche nei confronti delle armi e dei conflitti. Si tende a mettere in discussione la concezione stessa della differenza femminile, e quindi la particolare reattività delle donne all’evento guerra. Io continuo comunque ad essere convinta che le donne nel loro insieme sono vittime tragiche e purtroppo inerti di tutte le guerre e che alle guerre vorrebbero opporsi decisamente, bruciando alle radici nazionalismi e tribalismi, cui gli uomini sono abbarbicati, per- ché giustificativi della loro infinita volontà di potere. Non accettare di essere inserite in logiche collettive apparentemente neutre, esprimere la loro ansia di pace trovando i mezzi culturali ed organizzativi per farla pesare sugli eventi, condizionare il posizionamento dei gruppi nazionali di appartenenza – potrebbe/dovrebbe essere l’obbiettivo e la sfida delle donne di questo millennio.

Daniela Dioguardi
Daniela Dioguardi

Daniela Dioguardi  –  Quotidianamente siamo bombardate/i da notizie e immagini strazianti di morte e distruzione. In diverse parti del mondo si combattono guerre dissennate, di cui poco sa l’opinione pubblica e su cui io stessa non sempre riesco ad avere le idee chiare: il terrorismo dell’Isis colpisce con inaudita barbarie dappertutto, uccidendo in Europa e fuori dall’Europa, bisogna sottolinearlo, soprattutto mussulmani e limitando la libertà di tutti; la fuga di masse disperate dalla miseria e dalla guerra spesso, troppo spesso, si conclude disperatamente in fondo al mare. Sotto i nostri occhi muoiono in modo più o meno atroce bambini, donne, uomini, anziani; sono rase al suolo città, paesi, villaggi, siti archeologici; si smembrano comunità di antica storia e civiltà. Di fronte a tanto e reiterato orrore c’è il rischio di assuefazione, che prevalga l’indifferenza e/o un sentimento d’impotenza, anche perché nell’immediato, ma solo nell’immediato, sembra non riguardarci direttamente. Il pericolo più grande è smettere di opporci alla ferocia della violenza. Dobbiamo sforzarci di capire, cercare la verità dietro le menzogne, non smettere di porci delle domande. Come si è arrivati a questa situazione che sembra non avere vie di scampo? È possibile fermare la spirale di risentimenti, odio e vendetta che si è innescata? Che cosa possiamo fare per contrastare i giganteschi interessi, causa vera delle guerre, ad esempio la vendita legale e illegale di armi? Perché nel mondo cresce il divario tra ricchi e poveri e aumenta l’ingiustizia sociale? Gravissime sono state e sono le responsabilità dei governi dei cosiddetti paesi civili e democratici. Penso soprattutto a Bush e a Blair che hanno scatenato guerre, ipocritamente definite umanitarie, giustificandole con plateali e vergognose menzogne e alimentando a dismisura il terrorismo. L’hanno fatto fregandosene di un’opinione pubblica mondiale che nel 2003 ha manifestato in modo massiccio contro. Ma per capire, andare alle origini del problema, cogliere le radici di tanta aggressività e trovare possibili soluzioni, è necessario aggiungere altre fonda- mentali riflessioni e porsi domande poco consuete. Chi sono gli autori della violenza? Chi ha costruito il sistema in cui viviamo? Chi detiene nel mondo il potere economico, sociale e culturale? Non ci sono, spero, dubbi sul fatto che appartengono al genere maschile. E ancora: negare i più elementari diritti ed esercitare un dominio su metà del genere umano non è stata una violenza? Una guerra che ha fatto la storia pur non essendo nominata in alcun testo di “storia”. Picchiare, uccidere le donne, come si continua a fare, non è violenza? Non è evidente una differenza tra uomini e donne? Svetlana Aleksievic lo evidenzia attraverso i racconti, intrisi di dolore, delle donne che in Russia parteciparono alla guerra contro l’invasione nazista in modo diverso dai racconti degli uomini centrati invece sull’eroismo. C’è oggi una tendenza pericolosa alla neutralizzazione della differenza che si traduce sostanzialmente in omologazione al maschile anche nel modo di intendere la libertà, svincolata da ogni forma di relazione umana, per cui tutto è possibile. Immaginare un mondo dove non ci sarebbe più nessuno, neppure le donne che l’hanno sempre fatto, a confortare e rimediare ai mali provocati dalla guerra, mi fa paura. Sogno invece un tempo in cui le donne, tradotta “l’estraneità” di cui parla Virginia Woolf nelle Tre ghinee, in coscienza critica e parola, riusciranno a prevenire le guerre e ogni forma di violenza. Penso che sia questo ciò che possiamo e dobbiamo fare con maggiore insistenza: fare conoscere, fare andare per il mondo il nostro pensiero e la nostra pratica che hanno origine nel femminismo della differenza. Come diceva Virginia Woolf: “Il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi”.

 

Fotografia di Letizia Battaglia, “ Wisława Szymborska 1923-2012 Premio Nobel 1996” , Palermo, 2008
Fotografia di Letizia Battaglia,
Wisława Szymborska 1923-2012, Premio Nobel 1996”

LA FINE E L’INIZIO di Wislawa Szymborska

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.
C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C’è chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.
C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
(1993)