Altro che burkini: Marisa Putortì, un fratello e la libertà
Marisa Putortì, 21 anni, lavora nel bar “Bombo” di Nicotera, in Calabria. Studia anche all’Istituto tecnico di Vibo Valentia, ha un figlio Carmelo di 5 anni avuto da una relazione che forse vorrebbe chiudere, sembra pure che “al fratello non andava bene che indossasse la minigonna, ma anche che fumasse e che parlasse con uomini più grandi nelle vie del paese dove abita”.
No, non è la solita storia del compagno che non ammette di essere lasciato, ma di un fratello che non ammette che sua sorella sia libera di portare avanti la sua vita come meglio crede e le spara in una notte di agosto.
Demetrio Putortì, 25 anni, è convinto, dalla morte del padre sei anni fa, di essere il miglior fratello che si possa avere come tutore, paladino, censore, consigliere e legiferatore, al punto che le scelte della sorella che lui non approva, le contrasta con ogni mezzo e decide di lanciarle un pesante «messaggio», che di fatto non obbedisce come lui pretende, «punendola» con colpi di fucile (i pallini del calibro dodici le hanno bucato le gambe e spezzato il femore destro) sparandole da un’auto proprio mentre era seduta al tavolo del bar in cui lavorava: per pochissimo non viene compromessa l’arteria femorale.
Perché ne scrivo di questi “forti contrasti” e della cronaca scaturita? Perché mi ha colpito quanto appena letto: “Un ulteriore merito dei carabinieri è stato quello di essere giunti alla soluzione del giallo malgrado l’assoluta mancanza di collaborazione da parte delle persone che si trovavano davanti al bar nel momento in cui la giovane è stata ferita”.
Traete voi le conclusioni perché se Marisa Putortì ora sogna una vita normale, anche noi sogniamo, da tempo, un Paese normale. E non sorrido affatto.