Il silenzio, vero e proprio silenzio non è. Perché se ci si mette in ascolto a occhi chiusi cosicché l’udito tra i sensi prenda più spazio, si avverte il suono del vento tra i rami, lo scorrere dell’acqua, la presenza degli animali, il crepitio del sottobosco sotto i piedi.

Il mio viaggio è cominciato così, con lunghe e lente camminate solitarie nei boschi.

Attraverso il camminare ho incontrato i soggetti di questa mostra: le persone che hanno scelto di vivere la montagna da sempre, che conoscono ogni angolo del territorio, che d’inverno si svegliano da soli o in compagnia di pochi altri, che tutti insieme non fanno le dita di due mani, in paesi che poi si ripopolano l’estate o durante i fine settimana di sole; individualità che hanno lasciato la città per vivere nella natura con altri ritmi, che si sono innamorate del territorio in cui si “rifugiano” nel tempo libero dagli impegni della vita urbana e nel quale investono le loro energie e la loro creatività prendendosi cura dei boschi, lavorando la terra, curando ogni dettaglio.

Ma non sono gli unici soggetti di questo lavoro, c’è il territorio.

Alberi di castagni, secolari, svuotati dagli anni, forti ma anche malati d’inchiostro, che hanno dato da vivere per secoli a numerose famiglie; faggi con la loro pelle liscia che si muovono leggeri nell’aria, resistenti, stabili, ben radicati a terra da anni, abeti e boschi di pini sempreverdi che danno più il senso della montagna, almeno nell’immaginario comune.

Le montagne e le colline, sfondo naturale a ogni immagine, dove lo sguardo finisce e poi torna indietro a chiedersi cosa c’è oltre, cosa c’è in mezzo.

La pietra, dalle sfumature di grigio, che si sfalda come una millefoglie, anch’essa ricchezza della zona, che ha dato origine a cave di piagne, un tipo particolare di tegola che caratterizza i tetti delle case del territorio. I torrenti con le acque fresche nelle quali ci si può immergere per riattivare la circolazione del corpo e dimenticarsi per un attimo di qualsiasi cosa.

Questa mostra vuole essere un omaggio al paesaggio e ai suoi protagonisti, solo appunti di un viaggio che è appena iniziato e che vuole continuare. Ho scelto di muovermi a piedi tra i paesi o con mezzi di fortuna per raggiungere le mete più lontane affinché la conoscenza passi attraverso l’ascolto, un ascolto lento per entrare più in profondità, dove il camminare diventa indispensabile per pensare, pensare a cosa dire, a come avvicinarsi a degli sconosciuti, senza invadere il loro spazio, ma rispettandone i tempi per provare a raccontare la loro storia.

Su questa scia ho scelto di lavorare in pellicola, con rullini 6×6 di soli 12 scatti ognuno. Immagini che per vederle bisogna aspettare di entrare in camera oscura, sviluppare manualmente i rullini dopo aver scelto i rivelatori, stampare i negativi ad uno ad uno. Tutto questo dilata ancora di più il tempo di lavoro, il progetto procede lentamente e questa lentezza aiuta la conoscenza, permette di tornare a cercare i soggetti perché non si é soddisfatti di quella manciata di scatti condivisi, e di chiacchierare di nuovo, di incontrarsi di nuovo: questo il senso che per me ha la fotografia.

Le immagini in mostra sono tutte realizzate con stampa ai sali d’argento su carta cotone, per conferire una sorta di pittorialità alle immagini, acquarelli in bianco nero che galleggiano in un tempo senza fine. Un omaggio alle macchine con cui ho lavorato, due pezzi storici della fotografia, la mia Rolleiflex 6×6, che mi accompagna da anni, e una Leica m3, che apparteneva a un Pranzini di Tresana e che è arrivata a me consegnata dalla figlia con l’idea di raccontare, ad anni di distanza, gli stessi luoghi. È iniziato tutto così, con questa idea, fotografare Tresana. Poi le gambe e la curiosità mi hanno spinto oltre: a Monte Acuto passando per il santuario della Madonna del Faggio, a Pianaccio passando per Monte Acuto, a Castelluccio passando per il Mulino della Squaglia, a Prato Novello passando per la Pennola, a Lizzano e Rocca Corneta con un passaggio autoctono in macchina.