Le più grandi testate giornalistiche del mondo stanno dando notizia della scomparsa di Alberto Alesina, direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Harvard, “un maestro per tanti” (Mario Draghi).

Alesina, circa dieci anni fa, insieme al giuslavorista Pietro Ichino, aveva lanciato una proposta rivoluzionaria per minare il gap di genere costituito dall’ineguale distribuzione del reddito tra uomini e donne: detassare parzialmente il lavoro femminile con una riduzione delle aliquote sui redditi da lavoro.

Se le donne avessero più reddito – scrivevano Alesina e Ichino sulle pagine del Sole 24 Ore – avrebbero maggiore potere contrattuale con gli uomini, così da incidere sulla allocazione dei compiti, che, all’interno delle famiglie italiane, è molto più sbilanciata rispetto ad altri Paesi europei“.

Ecco, oggi torna alla mente ciò. Ciò che non è stato fatto.

Ciò, infatti, avrebbe comportato un cambiamento netto nelle politiche fiscali e di bilancio, che, solitamente, disconoscono la diversità tra uomini e donne rispetto ai ruoli sociali ed alle relative responsabilità pubbliche e private: il bilancio, infatti, viene inteso come strumento di politica economica neutrale, per eccellenza. Ma così non è, visto che questa “neutralità” è stata descritta come “cecità” in quel Gender Budget Analysis a cui per tanto tempo il Consiglio d’Europa ha sollecitato gli Stati Membri. Di ciò, in Italia si sono rese conto alcune Amministrazioni regionali e provinciali che si sono cimentate nella sperimentazione del “gender budgeting”. Ma tutto è rimasto “localizzato”. Nessuna riflessione complessiva è intervenuta per realizzare quanto Alesina e Ichino avevano proposto in termini globali.

Nei paesi del nord Europa si è sviluppato un forte dibattito intorno alle Banche del Tempo ipotizzando come opzione fiscale una “imposta del tempo” relativa alla possibilità di attribuire alle cittadine delle “tasse” in termini di tempo in cui svolgere attività di cura e/o di pubblica utilità: insomma, tassazione del tempo invece che del reddito, e quindi, monetizzazione di quel “tempo di cura” (delle donne), da sempre considerato privo di valore economico. In questo modo, nella generale crisi dei sistemi di welfare, si rende socialmente ed economicamente rilevante quel “welfare privato” tradizionalmente fondato sull’oblatività femminile.

In Italia, solo poche realtà innovative, a macchia di leopardo. Del resto, il bilancio riflette l’equilibrio dei poteri all’interno di una società: non è documento economico tout court, bensì è una sorta di “dichiarazione politica”, che, in quanto tale, è sempre figlia dei tempi.  Alesina, che, come pochi, ha dedicato tutta la sua carriera alla ricerca interdisciplinare, lo sapeva bene. Ma, seppur grande maestro, in questo non ha avuto molto ascolto, non dai politici, che raramente dimostrano di cogliere l’importanza di certi temi, che sono “materia” da trattare in modo strutturale e non parcellizzato. Il gender budgeting è cosa molto complessa, dovrebbe tenere conto della differenza di genere in tutte le fasi della programmazione, dalla definizione degli obiettivi, fino alla valutazione di risultato. Dovrebbe prevedere, tra l’altro, provvedimenti a sostegno di azioni globali che riducano il “gender gap” e siano mirati al sostegno del lavoro di cura femminile. In tale ottica diventerebbero centrali anche le azioni dirette agli anziani (assistenza domiciliare, ricoveri, attività ricreative), in funzione della re-distribuzione e della conciliazione dei tempi lavoro-famiglia. Si dovrebbe puntare sulla qualità degli interventi urbanistici nella fase di progettazione degli spazi e dei servizi alla persona, anziani e bambini soprattutto, ma anche donne perché si renderebbe più agevole il loro lavoro di cura. E si finanzierebbero politiche di sostegno dell’”agibilità della città”, ad esempio nell’uso dei mezzi pubblici in orari notturni, per prevenire e arginare quella “emergenza sociale e culturale” costituita dalla violenza contro le donne; e ci sarebbero anche incisive campagne culturali di analisi e di prevenzione di questo gravissimo fenomeno, per affrontarne i “perché”, per discutere sulla relazione tra i generi e comprendere che la violenza di genere tradisce un’eredità sociale e culturale complessa, che sottende e perpetua rapporti storicamente diseguali tra i generi.

Non dimentichiamo, oggi, che i dati relativi al lockdown hanno rilevato un vistoso incremento della violenza di genere.

Ma adesso c’è l’emergenza Cov-19, e parlare di tutto ciò, in questo momento, potrebbe essere inteso come sofisticheria. Non lo è. Però, è un … mendelssohniano sogno di una notte di …inizio estate.