indexOggi, 9 agosto 2016, sono 71 anni che su Nagasaki venne sganciata da un bombardiere statunitense quella che conosciamo come “bomba atomica”. Si trattò di una seconda volta. Due giorni prima, il 6 agosto 1945, era stata colpita Hiroshima.

Non tutti sanno – certamente non io – che i giapponesi chiamano la bomba, quelle bombe, pikadon. Pika è il lampo, don il boato, il fenomeno che chi ha vissuto quell’esperienza ha vissuto, una luce accecante seguita da una gigantesca esplosione. Ho appreso questa e altre notizie, e molto di più, dal libro curato da Yukari Saito, che ha tradotto tutti i testi, Dalla bomba atomica al Pikadon. Comprendere e trasmettere le esperienze di Hiroshima e Nagasaki. Yukari Saito, che vive in Italia dagli anno ’80, traduttrice e saggista, ha fondato a Pisa il Centro di documentazione Semi sotto la neve, che si propone uno scambio di conoscenze tra Italia e Giappone. Il volume comprende testi diversi, che hanno tutti al centro quei giorni.

Giorni che sono stati cancellati dalla memoria, dei giapponesi e del mondo intero, con un’operazione di censura, sia da parte degli statunitensi che dei governanti giapponesi, che collaborarono attivamente a creare il silenzio e l’oblio. Tanto che gli stessi hibakusha, i sopravvissuti all’esplosione, trovarono naturale tacere, non raccontare, solo negli ultimi anni i testimoni hanno ripreso la parola pubblica. Una grande spinta è venuta dal disastro della centrale nucleare di Fukushima. Come se quella serie di incidenti, a seguito del terremoto e maremoto del 2011, avessero svelato il paradosso di un paese che, unico al mondo, conosceva sulla propria pelle gli effetti delle radiazioni e della fissione nucleare, e che pure si è affidato al nucleare per le proprie esigenze energetiche. Come è potuto accadere?

«Sono sempre stata turbata dalla circostanza che perfino (molti di noi) hibakusha dessimo credito al sogno dello sviluppo nucleare» dice Toshiko Tanaka, artista che pratica il cloisonné, spesso in grandi dimensioni e che solo dopo i 70 anni, a partire dal 2008, a cominciato a raccontare pubblicamente la sua esperienza. Di quando fu colpita da Pikadon, a sei anni e dieci mesi. «Sento il dovere di raccontare » ha detto «come una missione affidata dai morti ai sopravvissuti».

Il libro è come un albo, una composizione della memoria, un museo vivo di parole e immagini, che si stratificano l’una sull’altra in un insieme denso che suscita pensieri, domande, suggersisce itinerari e accostamenti sempre diversi. Ci sono mappe, dati, grafici. Per esempio si ricostruisce che un grandissimo numero di vittime, sia maschi che femmine, avevano tra i 12 e i 14 anni, alunni delle scuole medie inferiori. Sono definite le caratteristiche tecniche delle due diverse bombe. Sono riprodotti con cura alcuni oggetti. Deformati, irriconoscibili, misere tracce di chi è stato letteralmente disciolto nel pika, indimenticabile e da non dimenticare.

Ci sono poesie, di Kiyoko Horiba, nata a Hiroshima.

«Perchè mai tutta la stampa giapponese non rilasciò congiuntamente /Ogni immagine possibile, ogni possibile articolo sugli effetti delle radiazioni?/ Tutto insieme, d’un colpo, al mondo intero?»

Questo scrive in Agosto fatale, del 2015. E questo è il tema del suo saggio, Hiroshima e Ngasaki censurate, in cui ricostruisce le vicende della censura, orchestrata dai governi. E individua negli 11 giorni che passarono tra la resa  del Giappone, il 15 agosto, e l’ arrivo nel paese delle forze di occupazione, cioè gli Alleati, il 27 agosto – la possibilità perduta di rendere noto subito a tutti quanto era effettivamente successo.

Tra i testi da rileggere e rileggere, riporto il racconto di Toshiko Tanaka, che allora aveva sei anni:

«Ho detto che alle 8.15 stavo andando a scuola; fu allora che uno dei compagni che era con cui camminavo d’improvviso urlò, “Guarda, i bombardieri nemici! Sono i B-29!” alzai gli occhi e vidi due aerei. Un’istante dopo fui colpita da un lampo micidiale, come migliaia di flash che si accendano tutti insieme. Poi tutto intorno divenne bianco, abbagliante: non ci vedevo e non capivo più nulla. Poiché mi ero istintivamente coperta la faccia con il braccio destro, mi ustionai la testa, il braccio, e il alto sinistro del collo…. .. Ero terrorizzata, fuggivo…Non so come abbia fatto ad arrivare a casa. La trovai devastata dall’onda d’urto dell’esplosione. Tuttavia, da un buco del tetto scoperchiato, vidi il cielo azzurro. era di un azzurro limpido, identico a quello dei giorni precedenti. …La bellezza di quel cielo mi colpì tanto da rimanere impressa nella mia mente per tutto questo tempo, fino ad oggi, che ho settantasette anni».

Lo stesso cielo che si ritrova nei versi di Kiyoko Horiba:

Vorrei far sapere a tutti/ Come era blu quel cielo/ verso cui un milione di sguardi opachi erano alzati/ sferzati dalla pioggia arsi dal sole  (quel cielo -1962)

Per me è stata una lettura salutare, esperienza che vorrei condividere con altre e altri. In Europa abbiamo dedicato tempo, energie, intenzioni a non dimenticare Auschwitz. Eppure la memoria non può essere selettiva. Dimenticare Hiroshima e Nagasaki è altrettanto distruttivo. La distruzione cresce nell’oblio e nell’oscurità, i semi della vita  vengono dall’elaborazione, dalla parola, dallo scambio. Le parole più commoventi vengono dall’incontro con i giovani statunitensi, che si aspettano di essere odiati. A loro gli hibakusha dicono: siamo qui a raccontare perché non vogliamo che succeda anche a voi.

Yukari Saito ( a cura di), Dalla bomba atomica al Pikadon. Comprendere e trasmettere le esperienze di Hiroshima e Ngasaki, Centro Gandhi edizione 2016, 160 pagine 16 euro   www.gandhiedizioni.it