buNon posso non ricordare l’immagine di due coppie dell’Arabia Saudita all’uscita da Petra. Faceva caldo, era luglio. Avevamo percorso per il ritorno il lungo corridoio dopo la visita, quando all’uscita un sole torrido ci investì a tutto campo. E fu lì, sotto quel sole imperterrito, che mi apparve lo spettacolo: camminavano davanti a noi due donne completamente avvolte di nero, con accanto due uomini in candide tuniche bianche. Si fa presto a fare di conto: il bianco –o i colori chiari- d’estate e il nero d’inverno. E’ tradizione che missionari e missionarie nei Paesi equatoriali vestono “divise” di tessuto bianco. Altra considerazione: la scoperta delle vitamine risale al medico olandese Christian Eijkman (1929) che ricevette per questi studi il premio Nobel. Vitamina vuol dire ammina della vita.

La vitamina D, considerata anche un ormone neuro steroideo, è ritenuta molto importante per prevenire diverse patologie, a cominciare da rachitismo per finire al sistema immunitario che ne viene rinforzato. E’ con il sole d’estate che si fa scorta di vitamina D.  Certo, occorre anche tutelare la pelle dagli effetti pericolosi dei raggi solari con le creme apposite. Ora, girando per le strade delle nostre città s’incontrano coppie di musulmani: lei coperta dalla testa ai piedi e lui in maniche corte e anche pantaloni corti.

Le motivazioni che qui e là rilasciano donne e uomini musulmani è sempre la stessa: “coprirsi è una libera scelta dettata da un sentimento religioso e di rispetto della prescrizione del Corano”. Oppure, come ha dichiarato in un’intervista (Huffington Post, 19 luglio 2016) la neo consigliera comunale milanese Sumaya Abdel:” Porto il hijab come atto di devozione. Mi piace il burkini e non mi limita. Mi protegge dal sole, dalle meduse e non mi rende meno libera.”

Fino a una decina di anni fa, scrive la giornalista Giuliana Sgrena, sulle spiagge arabe e musulmane si vedevano donne che facevano il bagno con maglietta e pantaloni, o con normali costumi in Tunisia e in Algeria. Emma Bonino ci ricorda che i sauditi finanziano l’islamizzazione qui e là, cioè anche in Bosnia e in Kosovo dove brulicano donne in burka, prima inesistenti (La Stampa, 20.8.016).

Anche il sociologo Renzo Guolo (La Repubblica, 19.8.016) scrive la stessa scrive che solo quattro decenni fa il velo era caduto in disuso nel mondo islamico. Disvelamento interrotto quando i regimi laici sono andati in crisi “lasciando il passo a quell’islam politico che sul corpo delle donne ha ricomposto l’unità infranta del corpo sociale maschile…”.

La reislamizzazione ha bisogno del rifiuto di contestualizzare la “rivelazione” coranica. Alla fine del IV secolo dell’Egira (xi sec.) è stato deciso che tutto nel Corano e nella Sunna era chiaro, chiarissimo. Era sparito il Mutazilismo che difendeva il libero arbitrio  e l’esercizio della ragione. La scuola scomparve sotto i colpi dell’ortodossia sunnita che considerava la rivelazione divina non dovesse mai essere sottomessa alla critica. Ora, nell’emigrazione il rifiuto della contestualizzazione della rivelazione coranica caratterizza il neo tradizionalismo (tendenzialmente maggioritario) al servizio del comunitarismo identitario. Il neo tradizionalismo non rifiuta completamente l’integrazione, ma la limita.

Se si considera il Corano atemporale, eterno, le prescrizioni comportamentali non terranno conto delle scoperte scientifiche come quella della vitamina D. Tanto più, come sottolinea lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, che il corpo della donna resta uno dei punti focali del discorso dei fondamentalisti: “Un corpo che bisogna velare, nascondere, negare: il burkini è semplicemente una versione ‘light’ del burka” (La Repubblica, 18.8.016).

Un racconto efficace è quello di Michela Marzano, docente all’Università di Parigi. Anche lei ha notato la reislamizzazione evidente negli usi e costumi. Fino a qualche anno fa era impensabile il racconto di una ragazza che una sera di Ramadan viene redarguita dai “fratelli” perché porta il rossetto; oppure era inconcepibile che in Università alcuni studenti spiegassero che un uomo non deve stringere la mano di una ragazza. Non si ascoltavano spiegazioni sulla non decenza di una ragazza in giro da sola per le strade -magari non coperta integralmente- perché così mette a repentaglio l’onore del fratello; o del padre. Il rifiuto della contestualizzazione che forse viene avvertito come cavallo di Troia per una secolarizzazione religiosa inaccettabile, lo si nota anche dagli argomenti di difesa del burkini utilizzati in Francia, In Italia e altrove. Si pubblicano foto di donne europee all’inizio del Novecento al mare con abiti che coprono interamente il corpo, o foto di siciliane e sarde velate in costumi regionali in uso nel Novecento; e talvolta ancora oggi. Sì, ma come sottolinea Chiara Saraceno, noi donne anziane ricordiamo i tempi in cui si veniva rimproverate per i pantaloni, le maniche troppo corte e il bikini al mare. “Sentirsi a proprio agio nello spazio pubblico con il proprio corpo è stata per le donne una conquista recente e difficile, oltre che non priva di ambivalenze e di rischi vecchi e nuovi. “(la Repubblica, 18.8.016)

Ascoltare in una trasmissione televisiva una donna italiana convertita dire che la copertura del corpo serve per “proteggere” dagli sguardi maschili, è un ulteriore conferma della rimozione della modernità a favore del comunitarismo identitario islamico.  Proteggere dagli occhi maschili i corpi delle donne s’intende: evitare di suscitare il desiderio e l’assalto sessuale. Il desiderio erotico maschile è diverso da quello femminile? Sì, secondo la mentalità Prè scientifica. Di nuovo si ha il rifiuto della contestualizzazione del testo coranico, per esempio alla luce degli studi di psicologia e psicoanalisi. Lì c’è scritto che i corpi femminili devono essere visibili soltanto ai maschi parenti: padri, fratelli, mariti….

Corpi, non persone, non soggetti. C’è la comunità non l’individuo. E dunque non ci sono uguali diritti in termini di dignità e opportunità. Il diritto dei maschi si può fondare sulla negazione di eguali diritti delle femmine.

Eppure il burkini, nota Emma Bonino, è un passo importante perché consente alle donne di stare in spiagge non segregate, insieme agli uomini. E’ dello stesso parere il sociologo R.Guolo: permette scopi ludici che i fondamentalisti vedono come fumo negli occhi convinti come sono che il posto naturale della donna sia la casa, la famiglia. Ovvero, potrebbe allentare “la claustrofobica presa comunitaria sull’individuo”.

Il burkini al mare o in piscina, potrebbe evitare la richiesta di luoghi separati per il nuoto che il modello di “rispetto delle culture “(multiculturalismo) di alcuni Paesi europei ha già concesso.