“A chi appartieni?” Ti chiedono quando ti conoscono…. cioè “ A quale famiglia appartieni?” Questo modo di relazionarsi quotidiano, scontato, riferito da una relatrice calabrese, commentando il libro di {{Lirio Abbate}} “{Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla ‘ndrangheta.}” ha determinato nella Sala Simonetta Tosi della Casa internazionale delle donne di Roma, dove il 29 maggio è stato presentato il libro, un fulminante corto circuito tra società calabrese e femminicidio non di cultura calabrese, ma italiano: “A chi appartieni?”…. “Appartieni a me…..” “cioè sei mia” con tutte le violente e spesso mortali conseguenze per le donne in fuga da famiglia, mariti, fidanzatini, amanti che ogni giorno apprendiamo dai mass media.

Premesso che è, e lo è stato anche in sala, giustamente percepito come gravemente offensivo e non motivato il luogo comune per cui tutta la vita quotidiana del meridione italiano si intreccia con la violenta cultura mafiosa nei vincoli familiari, amorosi, nel lavoro, nel tempo libero, nella scuola…l’autore, {{Lirio Abbate,}} ha sottolineato che se non cessa quanto ha percepito nel condurre le sue numerose inchieste giornalistiche sulle mafie e sulle collusioni dei politici con i boss, cioè{{ la complicità consapevole con la violazione quotidiana }} dei più elementari diritti democratici, con la sfiducia in qualsiasi istituzione pubblica, con il tentativo di risolvere i problemi nella illegalità, l’organizzazione della ‘ndrangheta persisterà così come tutte le altre associazioni mafiose..

Con il libro ha infatti inteso illustrare quelle parti di {{una cultura nuova }} che sta reagendo a questo stato di cose e di cui le donne sono coraggiose operatrici, soprattutto per amore dei loro cari uccisi, dei loro figli e soprattutto per desiderio di libertà. Le stesse relatrici presenti in sala ne fanno parte, donne del sud impegnate in una intensa attività di svelamento di realtà dure, sotterranee, di relazioni coraggiose che spezzano complicità e tradizioni, di sostegno al cambiamento:
-{{Alessandra Cerretti }} è sostituto procuratore Dda Reggio Calabria ed ha raccolto le dichiarazioni di {{Giusy Pesce}} contro la sua famiglia, il clan Pesce di Rosarno. Con lei per la prima volta, una donna di ‘ndrangheta ha considerato lo Stato una alternativa giusta per sé e per i suoi figli determinando, dopo due anni di udienze, la conclusione del processo con 40 condanne per 521 anni di carcere.
-{{Flavia Famà}} fa parte della Associazione “Libera”, nella quale è riuscita a dare un senso al suo dolore di precoce orfana da mafia. E’ infatti figlia dell’avvocato Serafino Famà che nel novembre del 1995 a Catania fu ucciso per volontà della mafia, essendosi rifiutato di scendere a compromessi.
-{{Raffaella Rinaldis}} è direttora di “ Fimmina Tv”, tv al femminile che trasmette da Roccella Ionica inchieste sulla ‘ndrangheta, sul mondo del lavoro, del cinema, della letteratura.

Presentate da {{Francesca Kock}}, che ha ricordato l’impegno della Casa Internazionale di Roma contro la violenza alle donne, coordinate da {{Maria Fabbricatore}} , giornalista di Noi Donne, hanno commentato il libro di Lirio Abbate, approfondendone i contenuti soprattutto attraverso le loro esperienze.

Nel libro si racconta come {{le donne della ‘ndrangheta hanno un ruolo segnato fin dalla nascita,}} sono destinate a rinsaldare, attraverso i matrimoni, alleanze tra le varie famiglie, a mantenere le relazioni tra il carcere e l’esterno, a procrastinare la cultura mafiosa. E’ difficile per loro staccarsi, collaborare come ha fatto Giusy ed altre, finite male come {{Maria Concetta Cacciola}}. Questa infatti, vessata dalla famiglia, diventò collaboratrice di giustizia, visse al nord sotto la protezione dello Stato ma, tornata a Rosarno per stare con i figli, si uccise dopo pochi giorni ingerendo acido muriatico per le violenze psicologiche e fisiche subite da parte dei familiari. E il Sostituto Procuratore {{Alessandra Cerretti}} continua ancora a chiedersi perché una giovane donna come Maria Concetta abbia scelto proprio di ingoiare l’acido muriatico, doveva forse {{bruciare la bocca che aveva parlato?
}}

Bisogna illuminare queste storie e questi territori per salvare altre donne, dice {{Lirio Abbate}}, ma soprattutto cominciare a {{dire no nel quotidiano}}. Giornalisti, avvocati , medici, commercianti …… devono liberarsi dalla acquiescenza tradizionale a piccole e grandi transazioni, non si può delegare tutto allo Stato. Ha ragione?

Il dibattito però ha fatto emergere {{il risentimento }} di chi pensa che non tutta la società calabrese è succube dell’onore che uccide: generalizzare fa male a tutti, perché si colpisce soprattutto la gente che alza la testa e prova a cambiare.

{{Lirio Abbate }}, {Fimmine Ribelli}{Come le donne salveranno il paese dalla ‘ndrangheta.} Ed Rizzoli €17