Segnaliamo Da “The Submarine” – articolo di Silvia Tadiello e  foto sono Mathieu Saldana // Instagram

— “La street art mi ha lasciato sconvolto, e stupefatto. È stato bello vedere graffiti di supporto da tutto il mondo,” ci ha raccontato l’artista Mathieu Saldana.

Dipingere sul muro che separa la Betlemme palestinese dagli insediamenti israeliani non è una passeggiata. Quando Mathieu Saldana è partito per la Palestina, non aveva pianificato di farlo: ci si è trovato davanti quasi per caso. Ha lasciato un graffito sul cemento grigio lo scorso aprile, e quando me ne racconta i suoi occhi si accendono come se fosse successo ieri. “Ho dipinto con due soldati israeliani a pochi metri da me,” dice, “che mi lanciavano cose intorno, tipo sassolini.” La tensione era talmente alta che Mathieu si è dovuto fermare a metà. “Me ne sono andato, ho preso un caffè… E poi sono tornato a finirlo.”

Mathieu è un artista francese che vive a Londra. I suoi disegni sono un commento tagliente sulla vita moderna, critici del capitalismo e impegnati sul fronte politico. In Palestina, però, non era andato in veste di artista: il piano iniziale era di andare a Gaza ad aiutare con la raccolta delle olive, il cui olio è una delle principali fonti di reddito della popolazione locale. A Londra, Mathieu fa parte della Palestine Solidarity Campaign, un’organizzazione che promuove la causa palestinese, che lo aveva messo in contatto con chi lo avrebbe ospitato a Gaza. Ma il giorno del suo arrivo a Tel Aviv è stato anche il primo della serie di proteste iniziate a fine marzo e culminate il giorno della Nakba, il 15 maggio, e che sono costate la vita a 123 palestinesi: una volta capito che entrare a Gaza sarebbe stato impossibile, Mathieu è partito per gli altri territori palestinesi — la Cisgiordania.

Lì, gli insediamenti israeliani sono sparsi per la cosiddetta Area C, e i confini non sono netti — tecnicamente, gli insediamenti sono considerati illegali dalla comunità internazionale, ma di fatto continuano ad esistere, protetti dal 2002 dal muro di separazione costruito da Israele. Se fuori dalle città il “muro” è in realtà una recinzione con del filo spinato, dentro i centri abitati come Betlemme si trasforma in un gigante che arriva fino agli otto metri.

Posti di blocco gestiti dalla milizia israeliana controllano il flusso di persone che passa da una parte all’altra; spostarsi da Gerusalemme a Betlemme, che sono a meno di dieci chilometri di distanza, può richiedere ore. “È una sensazione strana, essere circondati dal muro,” mi racconta Mathieu. “Ci sono telecamere e mitragliatrici, e soldati nelle torri di controllo ogni pochi metri. Se ti fermi vicino al muro, dopo qualche secondo le telecamere si girano e puntano verso di te.”

A Betlemme il muro taglia la città lungo quelle che erano le sue strade più vive, tanto che, con gli anni, molte delle attività lì vicino hanno dovuto chiudere. Mathieu mi mostra le foto di una scuola a ridosso del muro: le finestre sono cementate, e si vedono buchi di proiettile sulla porta; l’edificio ora è abbandonato. L’anno scorso, Banksy ha aperto il Walled Off Hotel, l’albergo con “la vista peggiore al mondo”, alle sue porte. Le dieci camere e la galleria d’arte aperta al pubblico cercano di portare l’attenzione al problema, oltre che sostenere l’economia locale.

Quello che invece rimane vivo, lungo il muro, è il flusso di visitatori che lo vengono a vedere, fotografare, dipingere. “La street art mi ha lasciato sconvolto, e stupefatto,” continua Mathieu. “È stato bello vedere graffiti di supporto da tutto il mondo.”

Durante la nostra chiacchierata, Mathieu mi racconta delle testimonianze che ha ascoltato dai palestinesi: dalla donna incinta che ha perso il bambino perché i soldati le hanno proibito di passare il posto di blocco, al cimitero tagliato a metà dal muro, alle cisterne usate per raccogliere l’acqua bucate dai proiettili sparati dai soldati, ai tagli all’elettricità durante le proteste. “Sono tutti piccoli incidenti che però, messi insieme, diventano una tortura.” La vita dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania è insopportabile sia per le condizioni precarie in cui vivono, sia per la violenza, fisica e non, a cui sono sottoposti giornalmente.

Il graffito di Mathieu è poco distante da un’opera di Banksy che ritrae due angeli che tentano di aprire il muro. In realtà, non è ancora completo: si è messo d’accordo con degli artisti locali perché scrivano delle frasi in arabo, che al momento non hanno ancora deciso in via definitiva. Sul muro di separazione, Mathieu ha disegnato il simbolo francese della libertà, il volto di Marianne. Ma non è la solita immagine che si trova in giro: questa volta, Marianne sta piangendo.