Renata Natili Micheli la nuova presidente nazionale del Centro italiano femminile (Cif). Dottore in Storia della teologia, professore incaricato presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare; professore della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce in Roma, già vicepresidente e dirigente del Cif, la neopresidente è membro del Comitato pari opportunità del ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Coofondatrice del Coordimento teologhe italiane, ha predisposto e diretto progetti nazionali di azione positiva e di promozione sociale per le donne

La Presidente Nazionale del Centro Italiano Femminile, Renata Natili Micheli a proposito del dibattito politico attorno all’annunciato “reddito di cittadinanza” interviene ponendo alcune questioni che esulano dal dovere della società politica di venire incontro alle necessità dei più deboli.

Piuttosto le questioni poste dalla Presidente Nazionale CIF riguardano  lo strumento individuato per “un reddito garantito” che a suo parere non corrisponde al diritto/dovere di ciascun lavoro e alla cittadinanza che dal lavoro scaturisce.   La critica colpisce l’idea  di fondo sottesa la  proposta del Governo e che riguarda la concezione del lavoro considerato essenzialmente mezzo per ottenere reddito da cui discenderebbe la cittadinanza.

La Presidente Nazionale sottolinea che il lavoro è cemento di cooperazione nella storia umana,  mezzo con cui ciascun* esprime i propri talenti ed infine è il lavoro che assegna dignità al reddito in quanto il lavoro è la cifra della reciprocità.

Il CIF sottolinea che dalle proposte in campo si evince un individualismo che mina alla base l’idea di democrazia come specificata dall’art. 1 della Carta Costituzionale, che grazie al lavoro auspica la fine delle rendite e i privilegi.

REDDITO DI CITTADINANZA E ATTUALE GOVERNO  L’idea originaria di reddito di cittadinanza è quella di un reddito per tutti. Per averne diritto non è necessario rispettare nessuna condizione economica o appartenere a qualche categoria sociale. E non è obbligatorio partecipare a programmi di reinserimento lavorativo. Basta essere cittadini o, nelle versioni più moderne, residenti regolari da un po’ di anni.

Il Reddito di cittadinanza del governo Lega M5S stabilisce invece una soglia minima che lo Stato deve garantire. E chiede ai beneficiari di fare alcune cose: come partecipare a corsi di formazione professionale, non rifiutare più di un numero prefissato di offerte di lavoro ed essere statisticamente poveri. Questa, e altre proposte simili, appartengono alla più ampia categoria del “reddito minimo garantito”.

A un primo sguardo possono sembrare la stessa cosa, ma non lo sono. Il “vero” reddito di cittadinanza consiste in un trasferimento economico di ammontare fisso a tutti i cittadini di uno Stato, che siano ricchi o che siano poveri. Non serve quindi dimostrare di essere poveri per averne diritto. E non è necessario partecipare a corsi di formazione professionale o altro. Le misure che tendono a garantire un reddito minimo per tutti sono invece indirizzate ai poveri, che devono quindi dimostrare di esserlo. E richiedono la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale e ad altre misure di reinserimento sociale e lavorativo.

La misura del governo Lega M5S rientra in questa seconda casistica. Nonostante sia definita come reddito di cittadinanza, non presenta infatti i tratti di universalità incondizionata tipici di questa idea.