Donne di origine etiope durante lo sgombero del 24 agosto di Piazza Indipendenza, a Roma (ph Eliana Caramelli)

Il 3 ottobre è la giornata delle vittime dell’immigrazione. Dal 3 ottobre al 3 novembre,  insegnanti ed educatori che aderiscono a “Insegnanti per la cittadinanza”, appello per lo ius soli e lo ius culturae (tra i primi firmatari Franco Lorenzoni), si impegnano a promuovere iniziative per affrontare il tema dello ius soli nelle scuole (si comincia martedì 3 con centinaia di docenti di tutta Italia in sciopero della fame).

Ma il 3 ottobre è stato anche il giorno in cui, nel 1936, le truppe fasciste oltrepassarono il fiume Mareb e diedero inizio alla conquista dell’Etiopia. Di quel passato coloniale pochi sono consapevoli, tanto meno del razzismo di Stato organizzato dal fascismo. Un ottimo testo di Gianluca Gabrielli, maestro e scrittore, racconta in modo divulgativo alcune vicende di quel razzismo imperiale, per offire materiali cocciutamente ignorati da media e libri scolastici, per mettere in discussione l’immagine edulcorata degli “Italiani brava gente” e per scoprire parallelismi con il nostro tempo (il testo completo da scaricare è questo)

 

articolo di Gianluca Gabrielli*

Alcuni anni fa lo storico Matteo Dominioni scoprì negli archivi delle Forze Armate i documenti relativi a un’azione repressiva operata dall’esercito italiano nel 1939 in una regione dell’Etiopia. Una tra le tante, è vero, ma di efferatezza tutta speciale. Oltre un migliaio di etiopi – in parte uomini armati, ma soprattutto donne, vecchi e bambini che accompagnavano le salmerie dei resistenti – si erano rifugiati in una grande caverna; le forze dell’esercito italiano li braccarono per alcuni giorni e poi li sterminarono con i gas (iprite e arsina) e le fucilazioni sommarie. Dominioni, leggendo questo resoconto scampato alle “ripuliture d’archivio”, non credeva ai suoi occhi, tanto che, per controllare la veridicità e le caratteristiche dell’episodio, andò in Etiopia a ricercare quelle stesse grotte… E nel loro interno – oggi tabù per la popolazione del luogo – riesumò le tracce materiali della carneficina.

La notizia della scoperta fu così comunicata agli organi di informazione e rimbalzò per un paio di giorni sulle pagine di alcuni giornali (ma già l’opera di mistificazione e di confusione deliberata si era messa in moto, tanto che tra i titoli compariva anche un significativo “Le foibe degli italiani”). Poi silenzio. L’anno seguente Dominioni completò e pubblicò il libro che ricostruisce l’intera politica di repressione della resistenza etiopica attuata nei cinque anni di occupazione fascista, contestualizzando la strage di Zeret nel quadro di cinque anni di repressione durissima dei resistenti e delle popolazioni [1]. L’evento però non riuscì a interrompere il silenzio che la stampa aveva lasciato cadere sull’argomento.

Dimenticare, minimizzare, fare finta di nulla: questo è l’atteggiamento comune che ha quasi sempre accompagnato ogni nuova acquisizione storiografica sul passato coloniale italiano. Un tempo tali violenze venivano negate: basti ripensare all’accanimento di Indro Montanelli nei confronti delle rivelazioni sull’uso dei gas fatte da Angelo Del Boca [2]. Oggi semplicemente cadono nella quasi totale indifferenza di giornali e televisione. Un passato saturo di violenza e di razzismo, regolarmente rimosso in nome dell’immagine edulcorata di “Italiani brava gente”, rappresentanti di un colonialismo dal volto umano, esenti da colpe, costruttori di strade e portatori di civiltà.

Parallelismi

Questo intreccio di negazione, dimenticanza, rimozione e oblio è una peculiarità anche della dimensione razzista del colonialismo italiano, strettamente legata alle violenze e alla natura del dominio coloniale. Per questo il lavoro di ricerca e di divulgazione storica sul razzismo coloniale è una fatica di Sisifo, indispensabile ma sempre da rifare, ogni volta da ricominciare di fronte a una censura e a una sordità dei mezzi di comunicazione che celebra il suo maggiore successo sui libri scolastici.

I primi studi sull’argomento comparvero già negli anni Sessanta, firmati da Luigi Preti e Angelo Del Boca; seguirono i lavori di Giorgio Rochat, Nicola Labanca e Luigi Goglia. Negli ultimi quindici anni il significato della ricerca in questa direzione si è arricchito di una valenza ulteriore: l’immigrazione, infatti, è divenuta in Italia un fenomeno stabile e, di fronte a ciò, la società e molti “imprenditori politici” – non solo di destra – hanno risposto con il razzismo, in molti casi esplicito, spesso inconsapevole, sia diffuso che istituzionale.

Facendo tesoro anche del nuovo contesto, si sono aggiunte le ricerche di Giulia Barrera, Barbara Sorgoni, Riccardo Bonavita e anche del sottoscritto, ma il razzismo nazionale cresce e si riproduce come se storia e storiografia non esistessero, come se gli

ammonimenti del passato riguardassero solamente le altre nazioni, perché la nostra storia fu – manco a dirlo – priva di macchie [3].

Gli esempi si sprecano. Nell’estate del 2008, in Italia, è stato varato un censimento etnico dei rom e dei sinti, con rilevazione delle impronte digitali: come possiamo dimenticare o ignorare i censimenti del 1938, a partire da quello di agosto rivolto agli ebrei, che costituì la premessa alle discriminazioni e alla deportazione, giù giù fino ad Auschwitz? Ma anche quello – di due mesi precedente – delle persone africane presenti in Italia, finalizzato al rimpatrio immediato in colonia per sottrarre allo sguardo degli italiani ogni imbarazzante presenza di pelle colorata; o il censimento dei meticci presenti in colonia, varato per studiare le caratteristiche antropologiche e la tendenza alla criminalità degli “incroci razziali” e per impostare con certezza di dati la politica razzista verso i “mezzosangue”… [4].

Solo una società tristemente priva di memoria può ignorare o tollerare parallelismi talmente evidenti e inquietanti e così decisivi per comprendere il nostro tempo.

Per questo mi è parso utile scrollare dalla polvere delle riviste d’epoca un episodio avvenuto ad Addis Abeba negli anni dell’impero fascista. […]

Il testo completo segue qui. Con varie modifiche, il testo si ispira a quello preparato in occasione di “Unidea. Scuola estiva sul razzismo”, diretta da Annamaria Rivera, nell’ambito del XIV Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina (Li), 2008.

Note

1. Dominioni 2008.
2. Cfr. Del Boca 1996.
3. Ricordiamo qui solo alcuni testi per avere uno sguardo panoramico sull’argomento: Preti 1968, Bonavita 1994, Del Boca 1995, Gabrielli 1996 e 1997, Barrera 1996, Sorgoni 1998, Burgio 1999, Bonavita, Gabrielli, Ropa 2005. Per una esaustiva rassegna bibliografica si veda Labanca 2002.
4. Gabrielli 1996 e 1999.
* Maestro in una scuola elementare di Bologna e redattore di Quandosuonalacampanella.it (dove questo articolo è stato pubblicato nel 2015 con il titolo Piccolo nero)