Eravamo tentate di non scrivere nulla, quasi a voler ignorare questa giornata ormai divorata e svuotata di qualunque senso.
La violenza maschile sulle donne è diventato un brand, utile a vendere e comprare qualunque cosa. Abiti da sposa, biancheria intima, consenso popolare, audience televisivo. “Sono vittima di violenza, quindi valgo”… e se necessario me lo rivendico pure con un bel coming out pubblico.

Le donne sono sempre oggetto, prima, dopo, durante…ma quel che continua a sconvolgerci è la rimozione pressoché totale del soggetto agente di quella violenza…

La violenza è domestica, come se una mattarello o un ferro da stiro potessero prendere vita propria e volarci sulla fronte per spaccarci il cranio.

La violenza è di genere, di uno qualunque, di tutti, di nessuno, chi lo sa…forse alla prossima meriterà pure una bella “degenderizzazione” attraverso l’asterisco *

La violenza non è mai esplicitamente maschile. Il soggetto non viene nominato. E ora che anche la parola femminicidio è diventata così trendy, ci si può tranquillamente dimenticare di menzionare il soggetto e omettere questo piccolo e insignificante particolare…

La donna sì, viene nominata ma allo stesso tempo spogliata di qualunque capacità di presa di parola e di azione. La donna è sempre e comunque oggetto del discorso. E se dovesse sfuggire a questa definizione, allora non merita interesse, attenzione, compassione.

La donna viene imprigionata immediatamente in uno stereotipo sessista, di donna vittima, soggetto debole da tutelare e difendere.

Certo che la donna in quel frangente, in un contesto di violenza subita, è la parte debole, ma ben altro cosa è costruirle addosso un immaginario di fragilità tout court.

Debolezza non solo fisica, vista la disabitudine alla reazione fisica (ci hanno insegnato che le donne non menano!), ma anche psicologica perché le botte distruggono non solo il corpo e la dipendenza “psicoeconomica” è un dato assolutamente reale.

Ben altra cosa è legiferare sui corpi delle donne e strumentalizzare quella violenza per militarizzare un territorio, per criminalizzare i/le migranti, per controllare le persone attraverso la paura.

Se ti ribelli, se alzi la testa, in casa, come fuori, sono mazzate.
_ Se dici no, a tuo marito, al tuo compagno, a tuo padre, al tuo ex…
_ Se dici no sul posto di lavoro…
_ Se dici no manifestando il tuo dissenso in piazza…
_ Se dici no.

Allora diventiamo tutte insieme l’eco infinito di quei no.

Impariamo a difenderci, a solidarizzare tra donne, ad autodeterminarci.
_ Impariamo a pretendere dagli uomini che abbiamo intorno, mariti, figli, compagni di vita e di lotta, un’attenzione e una consapevolezza maggiore rispetto alle relazioni, ai ruoli.
_ Impariamo a esigere che certe questioni – anche dentro il movimento – non siano più la politica di serie B.
_ Impariamo a dire no, a dirlo insieme e a dirlo sempre più forte.
_ Impariamo a pensare di essere forti, potenti e capaci di reagire.
_ Impariamo a a ribellarci. Impariamo l’autonomia.

Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta.
E’ una via faticosa, ma indispensabile.

{Le compagne di MeDeA}

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