Traduciamo e pubblichiamo un articolo scritto da Louise Desmarais e da alcuni gruppi di donne di Québec in occasione dei venti anni dalla legalizzazione dell’aborto in Canada. Un’ulteriore occasione per denunciare il rinnovato attacco all’autodeterminazione delle donne attraverso pratiche sottili e pericolose che mettono a repentaglio diritti acquisiti. Un dossier completo sul sito femminista Sisyphe. Insieme alle femministe canadesi, festeggiamo {{il ventesimo anniversario dallo storico giudizio della Corte suprema del Canada sull’affare del dottor Henry Morgentaler}}, accusato insieme ad altri due medici per aver praticato aborti illegali nella sua clinica di Toronto.

Storico perché questo giudizio ha invalidato le disposizioni previste all’art. 251 del Codice penale, datato 1969, coronando così vent’anni di sforzi e di lotte accanite condotte dai medici e dalle femministe canadesi e del Quebec in favore della depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Per meglio comprendere la portata di questo giudizio, basta ricordare che fino ad allora l’aborto era considerato un atto criminale, a meno che non fosse praticato in un ospedale accreditato e approvato da un apposito comitato di tre medici, che avevano il compito di decidere dei rischi per la vita o per la salute della donna. In caso di mancato rispetto di queste condizioni, il medico rischiava fino all’ergastolo e la donna fino a due anni di prigione.

Nella sua stentenza, la Corte suprema ha riconosciuto che la procedura descritta all’art. 251 del Codice penale reca danno al diritto alla sicurezza della persona garantito dall’art. 7 della Carta dei diritti e delle libertà del Canada (eentrata in vigore il 17 aprile del 1982, stabilisce i diritti e le libertà che i canadesi ritengono necessari in una società libera e democratica, ndt).

Per i giudici Dickson et Lamer «{{obbligare una donna a portare a termine la gravidanza}} sotto la minaccia di una sanzione penale (…) {{costituitisce un’ingerenza profonda sul suo corpo e, di conseguenza, un’attacco alla sicurezza della sua persona}}».

La giudice Wilson va più lontano, affermando che il diritto alla libertà conferisce «a ogni individuo un margine di autonomia personale sulle decisioni che riguardano la propria vita. (…) La decisione che una donna prende di interrpompere la propria gravidanza rientra in questa categoria di diritti protetti». E conclude, senza possibilità di equivoci, che {{il diritto alla libertà enunciato nell’art.7 della Carta comprende anche il diritto all’aborto}}.

Un giudizio storico perché in seguito ad esso le donne hanno potuto decidere liberamente di portare a termine o meno la loro gravidanza, senza mettere in pericolo la loro vita, la loro salute, la loro sicurezza e senza dover domandare il permesso di farlo.

Ci piacer sottolinare che il diritto all’aborto é un diritto proprio delle donne e che soltanto loro possono esercitare, dato che si fonda sulla differenza biologica e sulla loro capacità riproduttiva. Qualsiasi discorso sulle pari opportunità tra uomo e donna, quindi, é vano e illusorio se si impedisce alle donne di controllare la loro capacità riproduttiva, compreso il ricorso all’aborto in caso di gravidanza non desiderata.
Ogni minaccia al diritto all’interruzione di gravidanza é una minaccia al diritto all’autonomia, alla parità e alla sicurezza delle donne. Ricordiamoci che tale diritto fondamentale é negato a milioni di donne in tutto il mondo mentre 19 milioni di aborti sono praticati in condizioni igenico-sanitarie che mettono a rischio la vita delle donne.

Cosa succede oggi? Le donne hanno ragione di tornare a preoccuparsi? Il diritto all’aborto é minacciato? Sul piano giuridico, {{tre esiti processuali importanti}} hanno rafforzato e completato quello del 1988: Daigle (1989), Ufficio dei servizi per l’Infanzia e alla famiglia diWinnipeg (1997) et Dobson (1999). Per ciascuno dei tre, la Corte ha {{rifiutato di riconoscere i diritti del feto e dei ‘bambini non ancora nati’ riaffermando invece quello della donna all’interruzione volontaria di gravidanza}}.

Sul piano politico, tuttavia, la partita non é ancora vinta. {{Contrariamente all’opinione diffusa, il processo del 1988 non riconosce un diritto costituzionale all’aborto}}. I giudici, infatti, hanno ammesso che l’interesse dello Stato a proteggere il feto avrebbe potuto primeggiare sul diritto delle donne sancito dall’art. 7 della Carta. La Corte suprema rinvia dunque la decisione al Parlamento che potrebbe sottomettere all’attenzione della Camera dei Deputati un progetto di legge per ritornare a criminalizzare l’aborto.

Nel 1991, dopo la caduta del governo conservatore di Brian Mulroney, ci sono stati {{numerosi tentativi di far riconoscere i diritti al feto: un fatto che permetterebbe di vietare o di limitare l’aborto}} al di là di una certa fase della gravidanza o di far riconoscere il feticidio come un crimine. Un progetto di legge é tuttora in attesa in Parlamento.

Il vento di restaurazione economica, politica ma soprattutto sociale e morale che soffia a Ottawa non lascia presagire nulla di buono, se si considera che questa {{nuova destra, che si ispira direttamente ai nostri vicini del Sud, fa del femminismo, dell’aborto e dell’omossessualità i suoi bersagli principali}}.

Sul piano dell’accesso ai servizi, il 2006 segna una vittoria importante poiché la Corte superiore di Quebec ha messo fine a oltre vent’anni di ingiustizia e di discriminazioni nei confronti delle donne (che in questi hanni si sono hanno praticato una IVG in cliniche private o comunitarie, a causa dell’incapacità della rete pubblica di fornire servizi adeguati e in tempi accettabili, ndt). La Corte, infatti, ha riconosciuto che esse non avrebbero dovuto pagare per l’intervento, poiché si trattava di un servizio sanitario coperto da assicurazione e quindi gratuito.

Sul piano sociale, c’é chi si interroga sul numero di aborti praticati – che si suppone siano troppo elevati – e a cui le donne sembrerebbero ricorrere in modo del tutto irresponsabile, utilizzandolo come metodo contraccettivo. A questi attacchi striscianti, il cui unico effetto é quello di colpevolizzare le donne che ricorrono all’aborto, noi rispondiamo che {{il modo migliore di ridurre il numero di aborti é ridurre il numero di gravidanze non desiderate}}.

Concretamente, ciò implica di {{rendere accessibili e gratuiti i mezzi contraccettivi, di intensificare l’educazione alla prevenzione in materia di sessualità e di contraccezione}}, in particolar modo reintroducendo i corsi di educazione sessuale nei programmi scolastici.
Su questo tema, invitiamo il governo di Quebec alle sue responsabilità. Quanto al tasso di natalità, i governi federali e provinciali non hanno che da rileggersi le innumerevoli note dei gruppi scritte dal 1969 in poi. Vi troveranno molte soluzioni per sostenere le coppie e le donne che vogliono avere figli.

Malgrado ci sia ancora da migliorare, disponiamo oggi di tutte le ragioni per festeggiare l’anniversario di questo giudizio storico. Grazie a innumerevoli lotte, abbiamo conquistato il diritto a disporre liberamente delle notre vite e del nostro corpo, il diritto all’autonomia, alla sicurezza e alla libertà. Non accetteremo mai di tornare indietro e continueremo a batterci perché sia sempre così. Mai più criminali!

Louise Desmarais per: Fédération du Québec pour le planning des naissances – La Fédération des femmes du Québec – Centre de santé des femmes de Montréal – R des centres de femmes du Québec – Action Canada pour la population et le développement – Réseau québécois d’action pour la santé des femmes – Réseau des CALACS – Table des groupes de femmes de Montréal – CALACS Charlevoix – ROSE du Nord – ConcertAction Femmes Estrie – Table de concertation des femmes de la Mauricie