Con la collaborazione di Lidia Menapace, l’Udi nazionale ha presentato, il 18 gennaio in conferenza stampa a Palazzo Madama, il seguente documento (a cura di Laura Piretti, del Coordinamento nazionale) primo intervento dell’azione politica che l’Udi rilancia sulla 194 – con iniziative da mettere a punto in assemblea nazionale (quella 19 gennaio) – legando questo impegno a quelli sulla legge 40, contro la violenza sulle donne e per la democrazia paritaria (50E50 ovunque si decide).
Non v’è dubbio che seguendo l’attuale dibattito sulla 194 si ha una strana impressione.

La questione dei termini entro cui poter praticare l’aborto terapeutico (da restringere secondo le ultime istanze che chiedono a partire da questo la revisione della legge) è presto caduta. Non stabilendo la 194 quei termini che si chiede con accorati appelli di cambiare, la prassi medica finora in uso (24 settimane, ma già la Mangiagalli e San Paolo di Milano sono scese a 22-21) può decidere, senza toccare la 194, se e quando adattarsi alle nuove frontiere di vitalità del feto supportate dalle nuove tecnologie. Bene dunque ha fatto la ministra Turco a fare questo e tutti gli altri quesiti che ritiene necessari al Consiglio superiore di sanità.

La strana impressione di cui parlavo prima è però legata proprio a questo {{vuoto di contenuti}}, alla surreale sensazione di un copione già scritto “a prescindere”, una messinscena che ogni tanto deve essere recitata, di cui si possono individuare protagonisti, registi, spettatori o meglio spettatrici. Non che manchino interventi di donne, della politica e non solo; noi dell’Udi, per esempio, come in altre occasioni come questa, siamo qui a scrivere, a promuovere incontri con la stampa, tuttavia ritengo vi sia ugualmente una sorta di {{eloquente “attesa”}} da parte di molte di noi, e {{una parziale rinuncia a ribattere colpo su colpo,}} articolo su articolo, comunicato su comunicato.

Stiamo prendendo fiato? Stiamo cercando di capire meglio da che parte, questa volta, si pensa di muoversi per la “soluzione finale”? Stiamo guardandoci attorno per vedere se siamo sveglie o se Giuliano Ferrara che paragona le donne al boia e qualcuno lo ascolta è solo un incubo? Stiamo pensando a preparando qualche cosa? Stiamo misurando fino in fondo la fondatezza della nostra campagna{{ “50E50 ovunque si decide”}} perché siamo sicure che in una Democrazia paritaria tutto ciò non potrebbe accadere?

Tutte queste cose insieme, probabilmente.

D’altra parte, come al solito, e neppure questa è una novità, le nostre voci hanno poco spazio, molto meno di quello dato ai protagonisti di questa recita: protagonisti, attorgiovani, caratteristi e comparse, sempre maschi e/o clerici. La novità vera, quella strana impressione di cui parlavo è che questa volta ce ne importi poco e che di questo dibattito al maschile che avvenga nelle anticamere della politica o nelle sagrestie vaticane, siamo, per lo più, attente spettatrici.

Intanto {{a Bologna}}, alcune donne dell’Udi, avvocate, fanno sapere (e di questo hanno già informato l’ordine dei farmacisti) che procederanno con {{un esposto alla Procura per “interruzione di pubblico ufficio” contro ogni farmacista che, anche dietro presentazione di regolare ricetta medica, si rifiuti di fornire il farmaco per la contraccezione di emergenza}}, e pensiamo che altre iniziative analoghe si stiano muovendo su tutto il territorio nazionale. L’Udi nazionale, che ha aderito alla proposta radicale di chiedere che tale farmaco sia esentato dall’obbligo di ricetta, sarà punto di riferimento per collegare e promuovere fra le donne questo tipo di iniziative.

{{L’odierno attacco alla legge 194}} è incominciato ed è proseguito, senza soluzione di continuità, dall’estate del 2005, con l’allora ministro alla sanità Storace, che bloccò {{la sperimentazione di Torino sulla RU486}} e incominciò a chiedere una “verifica”, oggi diventata “tagliando”, della legge più verificata d’Italia (proprio come scrupolosamente chiesto per lo smaltimento dei rifiuti in Campania, per le norme sulla sicurezza sul lavoro, nonché su dati della violenza contro le donne), ma ebbe il suo vero avvio con la legge 40, sulla fecondazione medicalmente assistita e i diritti di persona attribuiti al concepito, con la discesa in campo delle gerarchie ecclesiastiche per il fallimento del referendum abrogativo.

Naturalmente basta un po’ di memoria storica per ricordarsi che anche prima di allora e sempre, ad intervalli regolari, {{la legge 194 è stata oggetto di attacchi, improvvisi o a lungo preparati}}. Negli ultimi 4 -5 anni, tuttavia, tali attacchi trasversali, trasudanti valori universali, e/o di principio, talvolta quasi mistici, talvolta tanto umani (ma non femminili, per carità, che cosa c’entra l’umano con il femminile?) da diventare “naturali”, e dunque “prescientifici”, hanno avuto un costo altissimo per il paese, come si era verificato in altre occasioni.

{{Un costo in laicità}}, per esempio, che i nostri ometti al comando, ai tempi del clero guerriero scatenato contro il referendum abrogativo sulla legge 40, hanno pagata per continuare a governare impunemente, possibilmente senza le donne (però in nome delle donne, come è ovvio). Quale alleanza migliore, per il PTM (partito trasversale maschile), di una teocrazia senza donne, quale quella rappresentata dai vertici delle gerarchie ecclesiastiche?

{{Piena applicazione e nuove frontiere per la vitalità del feto}}

La richiesta di verifica e di cambiamento della 194 dell’estate 2005 e poi per tutto il 2006 – tra parentesi l’anno dell’esplosione, nella cronaca e nella politica, della questione della violenza alle donne e del femminicidio, e grazie alle donne morte ammazzate giornalmente, da un certo momento in poi, abbiamo avuto un po’ di tregua sulla 194; le donne vengono ancora brutalmente ammazzate, ma la tregua è già finita – era fatta in nome della cosiddetta “piena applicazione” della legge. Il riferimento è all’art.2, quello che individua {{i consultori come i luoghi preposti alla prevenzione dell’aborto,}} oltre che alla certificazione dello stesso. Si presentavano i consultori come luoghi “mortiferi” per eccellenza e che, per non essere tali, avevano bisogno di “{{dissuasori militanti”}} da impegnare per dissuadere, appunto, le donne.

L’aborto non è un diritto, è un dramma da “prevenire”, lo abbiamo sempre detto, mentre una legge che consente l’aborto in determinate circostanze sì, quello è un diritto. {{La 194 parla di “prevenzione dell’aborto” e mai di dissuasione.}} Prevenzione significa aiutare a risolvere, se risolvibili, i problemi che possono impedire ad una donna di portare avanti una gravidanza, ma significa soprattutto prevenire le gravidanze indesiderate.

Il passaggio, infatti, {{dal concetto di prevenzione a quello di dissuasione,}} quest’ultimo totalmente assente dalla lettera e dallo spirito della legge, la voluta confusione tra i due termini, caratterizzava e caratterizza tuttora il dibattito e alcune Regioni (es. il veneto) hanno ancora lì pronte per la discussione, nuove leggi che immettono nel percorso IVG, non come opportunità, ma come obbligo, un contatto con il volontariato dissuadente.

La distanza fra queste forme di presenza molesta in reparti ospedalieri e consultori e il sostegno alle maternità difficili, in rete con le opportunità offerte dal territorio, compreso il volontariato, ovviamente non solo cattolico, è evidente, ma alle proteste delle donne soprattutto e di qualche spirito libero, di entrambi i sessi, presente i tutti i partiti, le leve del comando, quelli che stanno sempre lì, quelli soprattutto che delle vere questioni non gliene importa niente, hanno prodotto tenui difese generiche della legge 194, e veri poemi epici sulla sacralità della vita (del feto), sull’inscindibile nesso fra maternità e sacrifico fino allo spargimento di sangue che puntualmente poi avveniva nel mattatoio pubblico planetario riservato alle donne.

Ora siamo alla questione dell’aborto terapeutico, alla vitalità del feto e alla rianimazione quando e se.

In mezzo c’è stata,{{ nel gennaio del 2006, la manifestazione di Milano}}, promossa da usciamo dal silenzio e poi, {{in febbraio quella di Napoli}}, promossa dall’Udi e poi {{Venezia, nell’ottobre del 2006}}. Centinaia di migliaia di donne (e uomini) in piazza a dire sostanzialmente, come nel passato, “giù le mani dalla 194”.

In genere si ignorano queste mobilitazioni, le lettere scritte, i comunicati, le proteste, le iniziative, si sono persino ignorati sei mesi di raccolta di firme per una nostra legge di iniziativa popolare che metta metà donne e metà uomini nelle liste per le assemblee elettive e si è anche taciuto che di firme ne sono state raccolte 120.740. Cancellano tutto e poi chiedono “dove sono le donne”?

In realtà sulla 194, così come sulla legge 40, le questioni non sono mai quelle sollevate, ed è per questo che qualsiasi risposta nel merito è inutile, la posta in gioco è altra.

{{La posta in gioco}}

Se le obiezioni sollevate alla legge 194 fossero davvero di prevenzione, ottimizzazione, miglioramento, adattamento ai progressi della medicina, comprenderebbero, oltre al potenziamento e finanziamento per i consultori (art.2), anche un’attenzione agli articoli 9 e 15 della legge, quelli nei quali si definiscono{{ i modi e le condizioni dell’obiezione di coscienza in relazione alle responsabilità di applicazione della legge}} (art. 9) da parte delle strutture e direzioni sanitarie e (art.15) si impegnano le Regioni ad organizzare corsi di aggiornamento e di formazione su contraccezione, assistenza alla gravidanza e al parto, e “sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza”.

Ed ecco allora che incontriamo alcuni tabù, questioni cioè che mai vengono sollevate, se non dalle donne e qualche coraggioso paladino della laicità: {{una regolamentazione (o almeno auto regolamentazione del diritto all’obiezione di coscienza nelle strutture pubbliche)}} un potenziamento delle tecniche che aumentano la possibilità di scelta, diminuiscono i tempi, semplificano le procedure, prima fra tutte la TU486; una forte campagna di prevenzione, di somministrazione, informazione sui contraccettivi, compresi quelli di emergenza, il potenziamento della rete dei consultori e il loro finanziamento, infine, ma non ultimo, una potente spinta a seriamente occuparsi dell’aiuto, a tutto campo, della donna che mette al mondo un figlio, in base alla Costituzione, ma soprattutto contro la cattiva coscienza di chi difende la maternità senza difendere le madri.

Vale a dire tutto il contrario della direzione in cui si muovono le forze che chiedono la revisione della legge.

Infatti

L’orrenda {{polemica attorno alla RU486}} non solo non trova nessun appiglio reale nella 194, ma si presenta come la più spudorata “non applicazione” della legge. Per decenni le donne italiane non hanno potuto usufruire della libertà di scelta fra una metodica chirurgica e una farmacologica, perché esisteva un veto delle gerarchie ecclesiastiche.

Questo è un vero scoop, questa è la notizia su cui avrebbero dovuto impegnarsi gli organi di informazione. Perché tanto ritardo? Che cosa c’è dietro una tale assurdità e crudeltà verso le donne e venir meno ad ogni deontologia medica che obbliga alle prestazioni quanto più migliori è possibile?

Il fatto è che aumenta la possibilità di scelta, sottrae le donne al {{blocco dell’obiezione di coscienza}} che ritarda gli interventi, che mette l’acqua alla gola, che ostacola e ricatta tutta l’applicazione della 194, semplificando la procedura.

Eppure l’articolo 9 che riconosce il diritto all’obiezione di coscienza (molto ampio e molto disinvolto, per la verità), prevede contemporaneamente {{l’obbligo di ottemperare, da parte delle strutture sanitarie pubbliche e convenzionate, alla legge}}. Non quella struttura sì e l’altra no, non con la mobilità delle donne, bensì, come dice la legge, con quella del personale.

Non vi è nessuno dei promotori della revisione della 194 che accetti di mettere un tetto al numero degli obiettori nelle strutture pubbliche, che voglia seriamente obbligare le direzioni sanitarie di darsi carico di tale “piena applicazione”, nessuno che parli di togliere la convenzione a chi non applica la legge e la fa applicare a qualcun altro.

Va anche detto che {{se si restringono i tempi per l’interruzione di gravidanza terapeutica}}, vanno anche velocizzati di pari passo, neutralizzando obiezioni di comodo e vere e proprie omissioni, gli esami e i tempi della diagnosi prenatale, in modo che le donne abbiano il tempo per conoscere, riflettere e decidere, in definitiva perché il senso della legge e le sue opportunità non vengano stravolte.

{{Riassumendo}}:
Si fa la lotta all’aborto, ma anche alla contraccezione, si chiudono i consultori, si amplia la già smisurata possibilità di obiezione di coscienza, richiedendola anche per i farmacisti, si occulta per puro sadismo una tecnica di interruzione di gravidanza meno invasiva, e poi si invoca la scienza. Si dedica tempo e spazio alla pensosa proposta del teologo-giornalista, quella che sta cambiando gli orizzonti morali del pianeta e dopo la quale saremo tutti migliori.

Se non fosse che hanno le leve del potere in mano sembrerebbero quello che per certi aspetti sono, una parata di incoscienti che parla di cose che non conosce. Ma sono loro a decidere, sulla base dei loro interessi, non dei nostri, dei loro equilibri politici e scambi di favori, non i bambini, tanto meno le donne sono al centro del loro agire.

Gli attacchi alla legge, da sempre, perché non abbastanza dissuasiva e, oggi, perché si debbono ridefinire i termini di vita autonoma del feto, in realtà convergono verso {{il vero nodo della 194}}: l’autodeterminazione delle donna, vero punto indigeribile per chi avrebbe anche chiuso un occhio su tutto il resto.

{{L’autodeterminazione della donna}}

All’inizio, quando si discuteva della legge, {{negli anni settanta}}, mentre alcuni erano per la depenalizzazione dell’aborto e basta, non abbiamo voluto {{una legge che ponesse l’interruzione di gravidanza nelle strutture pubbliche e che lasciasse alla donna la scelta}}. La compresenza di queste due cose è la miscela micidiale che i cosiddetti difensori della vita non tollerano e ai quali la diminuzione degli aborti, il successo di una legge che vogliono a tutti i costi stravolgere, non interessa minimamente.

Non piace che le donne facendolo {{emergere dal privato e dal clandestino}} attraversino, con questo dramma, una struttura pubblica, che ciò avvenga dentro il servizio sanitario nazionale e che siano loro a decidere. O rischiano di morire o pagano o si attengono a decisioni altrui: la 194, così com’è, ostacola tutte le stazioni della {via crucis} che avevano pensato per le donne che decidono di interrompere una gravidanza.

{{A proposito della legge 40}} e dei diritti di persona attribuiti al concepito abbiamo detto e scritto in tutti i nostri documenti, riflettendo sul concetto di autodeterminazione, che noi, a differenza del partito del feto, partiamo sempre dalla priorità della madre. Perché è il consenso materno che porta dal concepimento alla nascita di una persona, perché il processo del nascere non può prescindere dal corpo della donna che accoglie.

La priorità data al feto, anzi, alla {{cellula fecondata}}, dunque addirittura in una fase di pre-gravidanza, nasconde, dietro parole apparentemente “umane”, una {{disumanità impressionante}}. Tale disumana cultura è quella che, per antico vizio, diffida della donna: ricordiamo non solo Eva, il serpente e la mela, ma anche il vaso di Pandora, tanto per restare nel ristretto ambito della cultura mediterraneo-occidentale.

Se le leggi del nostro paese debbono ancora fare i conti con questa cultura nessuna meraviglia se il più delle volte dentro casa, ma anche davanti a portoni, su marciapiedi, gradini, vicoli, ovunque e ogni giorno una donna muore ammazzata o viene picchiata e violentata.

Chiediamo ai difensori della vita e alle gerarchie ecclesiastiche di pronunciarsi con anatemi adeguati, dai pulpiti delle chiese, facendo pressioni sulle coscienze, dei parlamentari cattolici affinché, grazie a leggi adeguate e giuste pene, {{questa mattanza finisca}}.

Questa volta però è diverso, pur essendo tutto uguale.

Grazie alle crociate degli ultimi anni, non solo legge 40 e sulla 194, ma anche contro il testamento biologico, il riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, sia omosessuali che eterosessuali, a favore della famiglia tradizionale, magari anche quella dove le donne di casa sono oggetto della violenza dei padri-mariti-frateli-padroni, grazie soprattutto al torpore morale e civile che coglie sempre di più la nostra classe dirigente, ora siamo in una società arretrata, bigotta, poco evoluta, con {{una democrazia più debole}}, oltre che incompiuta perché {{mancano le donne “ovunque si decide”.}}
Abbiamo capito che la posta in gioco è complessiva e riguarda la {{spartizione del potere}}, {{l’esclusione delle donne}} su cui tutti sono d’accordo, una restaurazione civile e sociale che quella sì, come i rifiuti della Campania, ci allontana dall’Europa.

Deve essere per questo che ascoltando sulla legge 194 le solite voci dei soliti noti, abbiamo voglia di parlare di {{Democrazia paritaria}}, di una {{nuova legge contro la violenza alle donne}}, di {{laicità dello Stato}} come bene supremo. Noi, infatti, di questo ci stiamo occupando e se a qualcuno interessa saremo ben liete di spiegarlo.