Voi che vivete sicuri/ nelle vostre tiepide case, /voi che trovate tornando a sera/il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo/ che lavora nel fango/ che non conosce pace/che lotta per mezzo pane/ che muore per un si o per un no./Considerate se questa è una donna,/ senza capelli e senza nome/senza più forza di ricordare/vuoti gli occhi e freddo il grembo/come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato.*

Mercoledì 17 ottobre 2018, proiezione in una sala cinematografica ravennate del film – documentario 1938 I Diversi.  Sala gremita, nonostante una pioggia sottile e la nebbia    dicano dell’incontro con la  sgradevolezza del vero autunno.

Regista è Giorgio Treves, che ci   presenta sobriamente la sua opera, all’interno della quale  i contributi di saggisti e storici s’intrecciano alle voci  narranti di coloro che delle leggi razziali del 1938 sono stati oggetto.

Consapevole Treves dell’ eventuale insidia, annidata  in un rituale svuotato,  in  tributo dovuto  o, peggio, in una  retorica degli intenti, si muove con  senso della misura ed equilibrio.

 La narrazione, che si snoda dal 1935 al 1943, diventa infatti quasi un monito, ma asciutto: comprendere per non dimenticare da dove abbia avuto origine una simile   follia. Sono sintesi incisive di fatti che ancora disorientano. E’ palpabile il dolore del ricordo nelle voci dei sopravvissuti, tocca profondamente  cosa possa aver significato il loro essere diventati tutt’un tratto irrimediabilmente invisibili, come quando in aeroporto uno schermo ci informa di un volo  cancelled.

Treves sa tenere   il filo di pensieri, pur  inquieti, guidando ad  una riflessione onesta, con coraggio. Scorrono le immagini delle mortificazioni, della vessante – ed incomprensibile- emarginazione, della necessità di trovare un rifugio in America o nella più vicina Svizzera, fino alle parole desolate – ma fermissime – di Liliana Segre, che rammenta l’incubo della deportazione avuto inizio in quel maledetto binario 12 della Stazione Centrale di Milano.

60 intensi e struggenti minuti e, finale,  un sommesso ma rispettosissimo lungo applauso da parte dell’attento e partecipe pubblico in sala.

Nota di riferimento

* Da www.riflessioni.it/testi/primo_levi.htm letto il 19/10/2018