Sulla scia di molti interventi critici che si stanno moltiplicando, cerco di riflettere sulla chiamata delle donne alla protesta che in questi giorni dilaga. Cos’è che non mi convince ma nel medesimo tempo non mi lascia nemmeno la possibilità di starne tranquillamente fuori?
Qualcosa che c’è e qualcosa che manca. Naturalmente è frustrante che periodicamente qualcuna inciti le altre donne a svegliarsi come se nel frattempo fossimo state tutte belle addormentate. Certo, le moltissime che hanno nonostante tutto continuato a ragionare, scrivere e parlare non sono però riuscite a “bucare” i media (e io sono fra queste). Dati i tempi probabilmente è una colpa… La fatica per resistere in tutti questi anni di voragine sembra non aver dato molti frutti.

Tuttavia, se è giusto riconoscere le inesorabili leggi del tempo e quindi dare il merito a chi oggi riesce a farsi ascoltare, {{è anche necessario domandarsi cos’è che trasmette il messaggio veicolato dagli appelli, e se corrisponde al nostro personale sentire.}}

{{Diversi rischi sono in agguato}}: la vecchia strumentale distinzione fra donne “per bene” e donne “per male”, il moralismo di stampo cattolico, l’uso delle donne come risorse salvifiche dell’ultima spiaggia, a destra e a sinistra…

Mi chiedo allora: {{questa protesta cosa vuole davvero essere?}} Un gesto di soggettività politica o, come si accusa da alcune parti, un perbenismo moralista, ossia la voglia di dire: noi non siamo come le veline, noi non siamo puttane, non ci riconosciamo nel modello escort, quello è un mondo che non ci riguarda?

Non è questo il cuore del problema e il senso della ribellione, dal mio punto di vista. Purtroppo questo modello e questo mondo ci riguardano e ci interpellano in senso molto più ampio. {{Come possiamo parlare di diritti delle donne,}} di libertà delle donne, di dignità delle donne, disquisire di “escort” e di prostituzione, ignorando però sistematicamente la condizione tragica delle prostitute straniere vittime di tratta, gli abusi sulle migranti nei Cie commessi da rappresentanti delle forze dell’ordine, le torture e gli stupri inflitti alle donne nei campi di detenzione della Libia che i governi dell’Europa di Frontex, compreso quello di Berlusconi, sostengono e finanziano?

Se non si esplicitano e si approfondiscono i contenuti degli appelli, ho l’impressione che l’altra faccia della protesta rischi di essere {{il silenzio sugli uomini di ogni parte politica che usano e disprezzano le “altre” prostitute, quelle che ogni giorno rischiano il carcere e la vita}}. Il silenzio sulla domanda di sesso mercenario che sta all’origine della tratta. Il silenzio sugli uomini “normali” che vanno nei Paesi esotici a comprarsi minorenni. Il silenzio sulla realtà dei Cie e su quello che avviene al loro interno…

Allora qui non si tratta di moralismo o moralismi, ma di una ribellione che dovrebbe essere essenzialmente, squisitamente politica nel senso alto del termine, ossia quel senso che non separa il personale dal politico. Siamo di fronte a qualcosa che va persino oltre il solito, brutale scambio sesso-denaro-potere: {{siamo alla mercificazione dei rapporti, della mente, del corpo, del lavoro, siamo alla totale mercificazione della politica e della vita, a un’inaccettabile idea del mondo e delle relazioni di potere e di dominio, di cui il rapporto fra i sessi è la più evidente rappresentazione, ma non la sola. }}

In questo contesto che spazio potrebbe mai avere la speranza di cambiamento rappresentata dalla soggettività, dall’autonomia, dall’autodeterminazione delle donne? È su questo che io insieme a molte altre donne voglio ragionare. Non posso ovviamente sapere se ogni donna che sarà nelle piazze il 13 febbraio condivide questi pensieri, posso solo augurarmelo, anche se credo si possa stare insieme senza essere replicanti l’una dell’altra, e rispettando le differenze.